L’intervista: Vincenzo Quero un pugile nato…maestro

L’intervista a Vincenzo Quero, 73 anni, Maestro Benemerito, abbraccia più o meno 60 anni di storia di un personaggio, che è stato campione, maestro e fondatore della Quero-Chiloiro. Abbraccia anche la storia di una città e di una regione, da sempre protagonista della noble art. Vincenzo è un interlocutore arguto con le idee molto chiare anche se i numeri e le date non sono il suo forte.

L’impatto con la boxe è la domanda di prammatica.

Si può dire che ero un ragazzino vivace in un periodo dove si soffriva un po’ la fame dopo la guerra. Provenivo da una famiglia numerosa, io ero l’ottavo figlio, e mio padre era disoccupato. Vivevamo in un palazzone superabitato. Lo sfogo per noi ragazzi era un cortile dove si giocava e si faceva a botte. Diventando più grandicello andai subito a lavorare, portavo la spesa alle persone, lavoravo da un fruttivendolo. Frequentai la scuola fino alla V elementare. Cominciai anche a lavorare in un’officina fino alle nove di sera, poi a 14 anni trovai lavoro in un’altra officina dove uscivo alle 16,30. Avevo più tempo libero e andai subito a segnarmi in palestra.

Ricordi il nome della palestra?

Si chiamava Curci-Le Serri. Allora la palestra era diversa, i maestri ti mettevano subito i guanti per affrontare uno più forte, dove regolarmente prendevi le botte. Se tu resistevi a questo impatto iniziale cominciavano a insegnarti qualcosa. Se tu ti ripresentavi il giorno dopo era come se avessi superato un esame. La palestra si trovava dentro una scuola, in pratica era un gabinetto chiuso, inutilizzato, dentro un cassone c’erano i guanti. Mi mettevano sempre contro uno più esperto. Il maestro gli faceva un cenno e questo mi appioppava un bel destro, io reagivo subito e lo attaccavo. Il giorno dopo mi ripresentavo. I gestori erano maestri per modo di dire e dicevano tra di loro che non ero male. Mi fecero mettere dei guanti, non guantoni, e cominciarono a darmi qualche nozione. Purtroppo quando finirono le scuole, la cosiddetta palestra rimase chiusa. All’epoca facevo il fabbro, io in qualche modo ho sempre lavorato. Un amico di Pesaro, che mi aveva visto in palestra, mi invogliò ad andare a Pesaro alla Benelli. A Pesaro ci sono stato un anno e da lì cominciai a combattere mettendomi in luce. Il giudizio su di me era positivo e andai a fare il militare in Marina. Conobbi capo Repetto, che mi prese subito a ben volere. Vinsi gli Assoluti a Castelfranco Veneto nel 1969 e a Roma nel 1971, mentre nel 1970 vinsi il campionato delle Forze Armate. Ormai ero diventato un perno della Nazionale. A Roma nella visita annuale di affiliazione mi diedero a sorpresa il fermo per problemi alla vista con pochi decimi in meno. Probabilmente avevano colto l’occasione per allontanarmi per fare posto in Nazionale a qualcun altro. Quando mi congedai capo Repetto mi fece fare la domanda per diventare insegnante. Per due anni partecipai ai corsi di Steve Klaus, dal quale imparai molto. 

Poi che è successo?

Tornato a Taranto con alcuni miei amici, tra cui c’era Domenico Chiloiro, che stava spesso in Australia, aprimmo una palestra, che chiamammo Quero-Chiloiro. Parliamo di circa 50 anni fa. Per un paio di mesi pagammo di tasca nostra l’affitto, poi pian piano con l’aumento delle iscrizioni e delle quote in pratica non pagavo più l’affitto di tasca mia. Io e Chiloiro formammo un bel gruppo di ragazzi. Vincevamo Tornei ed eravamo ai primi posti nella regione e a livello nazionale, eravamo molto attivi anche nell’organizzare.

Quando tornasti sul ring?

Dopo due anni che avevo fatto il maestro mi arriva a sorpresa una circolare in cui era scritto che con quella gradazione della vista potevo anche combattere. Mi indirizzarono da un noto Primario a Roma. Aveva lo studio ai Parioli e mi fece una visita molto accurata, naturalmente a pagamento. Mi fece firmare un foglio e disse che avrebbe comunicato l’esito favorevole alla Federazione. Nella stessa giornata dopo le 22 tornai a Taranto, dove ripresi ad allenarmi. Non vedevo l’ora di combattere e contattai Umberto Branchini con il quale ero rimasto in contatto. Branchini mi guidava bene e mi aiutava anche economicamente. Per l’organizzazione io, Domenico Chiloiro e Convertino ci appoggiammo ad un organizzatore locale. Costui tra l’altro era molto legato al procuratore Ballarati e organizzò l’europeo tra Chiloiro e Tommaso Galli. A Taranto invece fu allestito il titolo italiano dei leggeri con Rosario Sanna allo Stadio con 10mila paganti. Furono 12 riprese intense, i pronostici pendevano decisamente dalla parte del sardo-romano. Sanna se avanzava faceva male, quando era attaccato si disuniva. Lo feci indietreggiare con “colpettini”, gli imponevo la corta-distanza, ogni volta dopo una schivata gli piazzavo una serie di 3-4 colpi. Ballarati, che era sicuro di vincere gli gridava inutilmente:” Basta Rosario, mettilo giù”. Alla fine il verdetto mi premiò e lo stesso Sanna si complimentò.

Ti è stato mai proposto un europeo?

La vittoria su Sanna mi fece fare un bel balzo in classifica, si organizzò quindi una semifinale per l’europeo. Al Palalido di Milano affrontai sulle 12 riprese il belga Fernand Roelands. Purtroppo non mi presentai nelle migliori condizioni di forma, ero svuotato fisicamente. Il belga era un buon pugile e lo dimostrerà con la conquista del titolo.

Come ti definiresti tecnicamente?

Piacevo molto a Steve Klaus. Facevo piccoli passi a sinistra, poi a destra. Mezzo passetto e subito rientravo, schivavo e rientravo. Davo spettacolo, Maurizio Mosca, famoso giornalista della Gazzetta, scriveva sempre bene di me. Non avevo pugno, ma la velocità e la continuità erano maldigeriti dagli avversari.

L’avversario più difficile?

Sinceramente non mi ricordo. Me la cavavo con tutti. Se devo fare un nome potrei dire Giancarlo Usai contro il quale ho combattuto due volte.

Rimpianti?

Quando vinsi le preolimpiche. Eravamo in 7 a dover andare a Monaco. Natale Rea mi chiamò, mi mise una mano sulla spalla e mi disse che dovevo combattere nella categoria inferiore. Per me era un sacrificio troppo grosso, non accettai e me ne andai.

Un raffronto del pugilato all’epoca tua e quello di oggi…

Adesso c’è più stile. Prima si faceva a botte, c’era gente dura, oggi fanno il pugilato tutti anche persone di un ceto sociale superiore. I genitori portano i figli in palestra. Noi pian piano riusciamo a svegliarli, a imparare a difendersi e li immettiamo senza fretta nel pugilato agonistico. Li prepariamo atleticamente con molta ginnastica, poi li impostiamo.

Quanti figli hai?

Ho due figli. Avrei voluto averne tre, perché venivo da una famiglia numerosa. I due mi danno una mano dopo il lavoro: Il più grande insegna a scuola, l’altro fa il bidello. Mi aiutano molto e abbiamo formato una bella società, molto apprezzata, che col tempo si è ingrandita. Ho imparato molto da capo Repetto, Umberto Branchini e Steve Klaus. La Società è cresciuta e sono andato sempre avanti.

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